Essere lucidi, presenti a se stessi, e, nel contempo, rimanere distaccati senza più consapevolezza di sé: in definitiva, divenire tutt’uno con l’oggetto, il mondo, l’azione.
Assurdo? Irreale? Utopistico? Eppure il volume Lo Zen e il tiro con l’arco del professore tedesco Eugen Herrigel (1884-1955) (EUGEN HERRIGEL, Lo Zen e il tiro con l’arco, traduzione di Gabriella Bemporad, Adelphi, Milano 2004) cerca di delineare l’essenza di una simile filosofia-religione derivata dal Buddismo, base della società giapponese.
L’autore, dopo anni d’insegnamento all’Università Imperiale nipponica di Sendia, pubblica nel 1948, al ritorno in Europa, il libro relativo all’esperienza spirituale e concreta di tale dottrina.
Il testo non è un romanzo, ma un’articolata riflessione di un intellettuale europeo di fronte ad una cultura così articolata e differente. Molti, infatti, sono i problemi: l’uomo occidentale, imbevuto di sapienza platonico-aristotelica e di razionalismo cartesiano, fatica a svuotare la propria mente dalle tradizioni strutture concettuali e comportamentali.
Le arti giapponesi, dalla creazione di fiori, alla calligrafia, fino al tiro con l’arco, diventano, invece, un mezzo per far accostare, con un processo graduale e tramite atti rituali, l’essere vivente alla “serenità” contemplativa buddista: “Il tiro dell’arco non mira quindi in nessun caso a conseguire qualcosa d’esterno con arco e freccia, ma d’interno e con se stesso. Arco freccia sono per così dire solo un pretesto per qualcosa che potrebbe accadere anche senza di essi, solo la via verso la meta, non la meta stessa, solo supporti per il salto ultimo e decisivo.” (EUGEN HERRIGEL, op. cit. 2004, p. 21).
L’apprendistato al tiro dell’arco, perciò, è metafora della trasformazione dell’individuo e della sua maturazione esistenziale: “Lao-tzu può dire saggiamente che la giusta via è simile all’acqua, che adeguandosi a tutto, a tutto è adatta.” (EUGEN HERRIGEL, op. cit. 2004, p. 40); “la vera arte è senza scopo, senza intenzione! […] Le è d’ostacolo una volontà troppo volitiva. Lei pensa che ciò che non fa non venga.” (EUGEN HERRIGEL, op. cit. 2004, p. 47).
Il giusto atteggiamento, così, s’impara “staccandosi da se stesso, lasciandosi dietro tanto decisamente se stesso e tutto ciò che è suo, che di lei non rimanga altro che una tensione senza intenzione. […] Aspetti che sia l’ora!” (EUGEN HERRIGEL, op. cit. 2004, p. 48) e lo “stato di abbandono” si raggiunge ponendo attenzione al respiro (EUGEN HERRIGEL, op. cit. 2004, pp. 52-53)
.È, quindi, fondamentale la relazione tra maestro e allievo e la ripetizione paziente di esercizi per acquisire tecnica e forgiare la propria interiorità: “Dare l’esempio, dare il modello; immedesimarsi, imitare – questa è la relazione fondamentale dell’insegnamento.” (EUGEN HERRIGEL, op. cit. 2004, p. 57).
Ecco, allora, che ognuno può diventare una sorta di maestro: “Come il principiante, il maestro di spada è senza paura, ma a differenza di questi diventa ogni giorno meno accessibile a ciò che spaventa. […] Così non sa più che siano l’angoscia della vita e il timore della morte. Egli vive – e questo è caratteristico dello Zen – volentieri nel mondo, ma è pronto ad abbandonarlo senza lasciarsi turbare dal pensiero della morte. Come nel raggio del sole mattutino un petalo di ciliegio si stacca e scenda e a terra luminoso e sereno, così l’uomo impavido deve potersi staccare dall’esistenza silenziosamente e senza turbamento. (EUGEN HERRIGEL, op. cit. 2004, p. 97).
“Ogni maestro di una delle arti dominate dallo Zen”, afferma lo scrittore, “è simile a un lampo che erompa dalla nuvola della verità universale.” (EUGEN HERRIGEL, op. cit. 2004, p. 100).
L’opera, quindi, risulta notevole, ma viene spontaneo un interrogativo. La consapevolezza, la ricerca della tranquillità interiore, la formazione del saggio, coraggioso nella vita e nella morte, non sono stati affrontati compiutamente anche da filosofi e scrittori antichi occidentali? Seneca, ad esempio, non dice, in definitiva, le medesime cose?
Ma l’Oriente attrae sempre e, si sa, “l’erba del vicino è sempre più verde.”.
Per saperne di più
EUGEN HERRIGEL, Lo Zen e il tiro con l’arco, traduzione di Gabriella Bemporad, Adelphi, Milano 2004.