Volete conoscere scandali e segreti degli uomini più importanti del mondo? Passioni inenarrabili, amori e vizi? Insomma, il gossip, i pettegolezzi, scoop, purtroppo, per molti mass-media? Non potete che leggere, allora, giornaletti scandalistici in edicola. No, no: nulla di ciò. Parlo dell’antichità, benché i punti di contatto con l’età odierna siano davvero molti. Mi riferisco al De vita Caesarum (Vite dei Cesari), di Gaio Svetonio Tranquillo (ca. 70-140 d.C.), autore latino addetto agli archivi statali sotto l’imperatore Adriano (117-138 d.C.) (SVETONIO, De vita Caesarum (Le vite dei Cesari), a cura di Paola Ramondetti, traduzione di Italo Lana, Unione Tipografico-Editrice Torinese U.T.E.T., I-II, Torino 2008).
«Sei impazzita!» qualcuno potrebbe dire «Ma che consigli ci dai?».
In una società sconsiderata come la nostra, che sta volentieri perdendo la millenaria memoria della cultura classica latina e greca, l’idea potrebbe essere subito bollata come fuori moda. I Romani antichi, gli imperatori latini? Robaccia per “nostalgici del tempo che fu”. Svetonio: “Chi era costui”? Meglio “le veline” o “Il Grande Fratello”. E così via.
Invece insisto. Che male c’è a consigliare un’opera interessante e drammaticamente sconvolgente per la materia trattata?
L’argomento: uno spaccato della storia romana dal primo “aspirante re”, ossia Giulio Cesare, ucciso nel
44 a
.C., fino a Domiziano (96-98 d.C.). Il testo in latino raccoglie le biografie dei primi dodici governanti dell’Impero Romano dopo la fine della res publica. Lo scrittore ha, da un lato, libero accesso all’enorme massa di documenti originali negli archivi, dall’altro, descrive luci ed ombre dei potenti.
Giulio Cesare viene considerato il primo Imperator, colui che infligge pochi, ma decisivi colpi all’incancrenito sistema governativo repubblicano (“Omnia subegit.”, “Sottomise tutto.”, in SVETONIO, op. cit. 2008, Divus Iulius, I, 32, 1, pp. 224-225; ibidem, “Nihil esse rem publicam, appellationem modo sine corpore ac specie.”, “Lo Stato non è nulla, solo un nome privo di sostanza e di forma.”, I, 77, 1, pp. 304-305).
Lo scossone definitivo è, però, dato da Ottaviano (
27 a
.C.-14 d.C.), che “non cambiando nulla cambia tutto” e governa da Princeps, padrone assoluto, con l’avvallo felice del senato (“Patris patriae cognomen universi repentino maximoque consensu detulerunt.”, “Il titolo di Padre della patria, glielo conferirono tutti quanti insieme, con un consenso subitaneo e assoluto.”, in SVETONIO, op. cit. 2008, Divus Augustus, II, 58, 1, pp. 488-489).
I successori Tiberio (14-37 d.C.), Caligola (37-41 d.C.), Claudio (41-54 d.C.) e Nerone (54-68 d.C.) non sanno, al contrario, raccogliere la pesante eredità. Tiberio, astuto ed immorale, trama in silenzio per ottenere la massima carica (“Miserum populum (Romanum), qui sub tam lentis maxillis erit.”, “Povero popolo (romano), che si troverà sotto mascelle così lente.” , in SVETONIO, op. cit. 2008, Tiberius, III, pp. 640-641); Caligola, o meglio Gaio (“Animum quoque remittenti ludoque et epulis dedito eadem factorum dictorumque saevitia aderat.”, “Anche nei momenti di rilassamento, quando si dava al gioco e ai festini, c’era in lui sempre la stessa crudeltà nelle azioni e nelle parole.”, in SVETONIO, op. cit.
2008, C
. Caligula, IV, 32, 1, pp. 876-879), e Nerone fanno a gara per chi sia più crudele e folle nei comportamenti (“Petulantiam, libidinem, luxuriam, avaritiam, crudelitatem sensim quidem primo et occulte et velut iuvenili errore exercuit, sed ut tunc quoque dubium nemini foret naturae illa vitia, non aetatis esse.”, “La sfrenatezza, la libidine, la brama di lusso, l’avidità di denaro, la crudeltà, in un primo tempo le mostrò a poco a poco, sì, e velatamente e come si trattasse di sbandamento dovuto alla giovane età, ma senza poter evitare che anche allora nessuno avesse dubbi circa l’appartenenza di quei vizi alla sua natura, non all’età.”, in SVETONIO, op. cit. 2008, Nero, VI, 26, 1, pp. 1132-1133).
Claudio è il colto imbelle, il fantoccio governato dalle mogli, dalle amanti e dai liberti (“His, ut, dixi, uxoribusque addictus, non principem [se], sed ministrum egit.”, “Schiavo, come ho detto, di costoro e delle mogli, fece la parte non del principe, ma del servitore.”, in SVETONIO, op. cit. 2008, Divus Claudius, V, 29, 1, pp. 1032-1033).
Nessuno, quasi, si salva dal raggelante bilancio di spietatezza.
Dopo la morte di Nerone, nella feroce lotta per la successione tra il 68 e il 69 d.C., i generali Galba (“Praecesserat de eo fama saevitiae simul atque avaritiae”, “Lo aveva preceduto fama di crudeltà e di avidità al tempo stesso”, in SVETONIO, op. cit. 2008, Galba, VII, 12, 1, pp. 1250-1251), Otone (“Simili temeritate”, “Con analoga sconsideratezza”, in SVETONIO, op. cit. 2008, Otho, VII, 9, 1, pp. 1298-1299) e Vitellio (“Sequenti quoque aetate omnibus probris contaminatus, praecipuum in aula locum tenuit.”, “Insozzato di ogni vergogna anche negli anni successivi della sua vita, occupò un posto preminente a corte.”, in SVETONIO, op. cit. 2008, Vitellius, VII, 7, 1, pp. 1324-1325) sono una replica in formato ridotto delle indegnità dei precedenti uomini.
Persino Tito (79-81d.C.), “delizia del genere umano” (“Amor ac deliciae generis humani – tantum illi ad promerendam omnium voluntatem vel ingenii vel artis vel fortunae superfuit”, “Amore e delizia del genere umano – tanto abbondantemente fu provvisto di doti naturali o di abilità o di buona fortuna nel conquistarsi la simpatia di tutti”, in SVETONIO, op. cit. 2008, Divus Titus, VIII, 1, 1, pp. 1416-1417) pare tramare contro il padre all’epoca della spedizione in Giudea (SVETONIO, op. cit. 2008, Divus Titus, VIII, 5, 1, pp. 1422-1427).
Il fratello Domiziano è un altro esempio di saevitia al comando (“Erat autem non solum magnae, sed etiam callidae inopinaeque saevitiae.”, “La sua crudeltà, poi, era non solo grande, ma anche ingegnosa e capace di colpire inaspettatamente”, in SVETONIO, op. cit. 2008, Domitianus, VIII, 11, 1, pp. 1480-1481).
L’unico Optimus Princeps è Vespasiano (69-79 d.C.) (“Auctoritas et quasi maiestas quaedam ut scilicet inopinato et adhuc novo principi deerat; haec quoque accessit”, “Quel che gli mancava, evidentemente in quanto era diventato principe inaspettatamente e da così poco tempo, era l’autorevolezza, e con una certa qual maestà, per così dire: ma anche questa gli si aggiunse.”, in SVETONIO, op. cit. 2008, Divus Vespasianus, VIII, 2, 1, pp. 1382-1383).
Svetonio elenca, quindi, impassibile, le più grandi atrocità e le pesanti ombre che offuscano gli “eroi” di tanta storiografia encomiastica. Cita, certo, notizie di altri storici o degli archivi, ma anche testimonianze di persone di famiglia che hanno visto o conosciuto gli imperatori.
Quello che più conta, comunque, sono i rumores, le dicerie, le ipotesi non dimostrate, tanto che qualcuno ha sostenuto che lo studioso latino racconta le vicende “come un cameriere dal buco della serratura”.
In definitiva, la società romana del periodo ne esce a pezzi.
La gente, in nome di un po’ di pace e di sicurezza, accetta leggi restrittive in molti ambiti della vita. Uno solo comanda per anni, persino pazzi come Nerone, Gaio o Domiziano, purché siano garantiti “panem et circenses”, “distribuzioni gratuite di pane e divertimenti”.
La civiltà latina presenta una gerarchia umana rigidissima. Le donne sono soltanto contenitori di nuova progenie o merce venduta al miglior offerente. Non c’è rispetto per l’infanzia. La schiavitù è un’abitudine collaudata. I gladiatori, che si massacrano a vicenda, rappresentano lo sport più amato. I Giudei e i Cristiani sono o allontanati o annientati con le persecuzioni. La sessualità maschile è notoriamente ondivaga, tanto che Svetonio si trova in dovere di speigare che, fatto raro, Vespasiano ama le donne, è fedele all’amata moglie e, dopo la morte della consorte, a Cenide (SVETONIO, op. cit. 2008, Divus Vespasianus, VIII, 3, 1, pp. 1364-1365).
Ai governanti, poi, è lecito compiere abusi di ogni sorta, come si legge nelle vite di Caligola (SVETONIO, op. cit.
2008, C
. Caligula, IV, pp.786-939) o di Nerone (SVETONIO, op. cit. 2008, Nero, VI, pp. 1070-1219), segno del male assoluto.
Fra gli imperatori, perciò, si salva a stento Vespasiano, mentre il popolo, il senato, l’esercito non ci fanno una gran bella figura. La plebe romana è in balia del miglior offerente, corrotta da donativi (congiaria) e da spettacoli cruenti. Ciascuna cosa è in vendita, amori, cariche, affetti: il cancro dell’ambizione consuma senza distinzione di classe o di ruolo. Seiano, Tigellino, Galba, Otone, Vitellio aspirano all’imperium, al comando, e non indietreggiano di fronte a niente.
La plebs, ora indifferente, ora plaudente, subisce rassegnata (“Occisum eum [Domiziano] populus indifferenter tulit”, “Il popolo accolse con indifferenza la sua uccisione [di Domiziano], in SVETONIO, op. cit. 2008, Domitianus, VIII, 11, 1, pp. 1506-1507).
I capi, del resto, lasciano la propria traccia edilizia sulla città, mentre le arti contribuiscono a celebrare l’arroganza del potere. La libertà di espressione e di parola? Pura illusione. Persino il saggio Vespasiano emana editti che controllino le scuole di retorica, i poeti e gli artisti.
Lascia, quindi, perplessi la lucidità priva di giudizio morale di Svetonio.
Egli annota con puntuali osservazioni e dati la corruzione dell’età che l’ha preceduto. In Tacito, almeno, respiri l’indignazione per una situazione causata dalla volontaria acquiescenza del senato. In Svetonio, no. Tutto “è fotografato” con precisione, compresi i ritratti fisici e psicologici dei personaggi. E alla fine, dopo aver provato magari disgusto durante la lettura, ti abitui al “catalogo” di crimini e misfatti. Strano, ma vero.
Forse uno dei motivi della fortuna dello scrittore sta proprio qui, cioè l’ideazione del freddo resoconto “cronachistico” del terrore, infarcito di straripanti e minuziose annotazioni. L’abbondanza di news, provoca, in maniera paradossale, un’indigestione mediatica ante litteram che provoca disinteresse, indifferenza. Un metodo “comunicativo” di enorme successo ancor oggi nella nostra avanzatissima “civiltà dell’informazione”.
Lo scopo, già delineato da Svetonio? Eliminare con gradualità la capacità d’indignarsi.
Per saperne di più
SVETONIO, De vita Caesarum (Le vite dei Cesari), a cura di Paola Ramondetti, traduzione di Italo Lana, Unione Tipografico-Editrice Torinese U.T.E.T., I-II, Torino 2008.