“Il mondo in un granello di sabbia”: così il grande fotografo austriaco Ernst Haas definisce il proprio modo d’intendere la fotografia in alcune pagine del famoso libro d’immagini dedicato alla Creazione (The Creation, 1971, 1983). Il verso di William Blake serve, così, al personaggio per sintetizzare i misteri del quotidiano, gli aspetti cangianti d’una realtà sempre nuova e sorprendente.
Il fotografo, nato nel
1921 a
Vienna e morto a New York nel 1986, di origine ebrea, dopo studi medici e scampato alle persecuzioni naziste, trova nella fotografia la chiave preferita per osservare attentamente il mondo. Grazie anche alla coltissima ed amatissima madre, comincia, fin dall’adolescenza, le prime esperienze di stampa da vecchi negativi ed esperimenti con forme geometriche. Studia grandi maestri come Edward Weston: il giovane Ernst ama l’esaltazione del particolare fatto dall’opera dell’autore americano.
Dopo la seconda guerra mondiale, Haas, con la sua prima macchina fotografica, una Rolleinflex, grazie ad efficaci “scatti” sulla violenza del conflitto mondiale, come il ritorno dei prigionieri di guerra, ottiene l’opportunità di lavorare per importanti riviste come “Heute” e “Life”.
L’incontro fondamentale avviene, però, nel 1949, quando lo stile deciso ed efficace delle immagini convince Robert Capa, fondatore con Henry Cartier-Bresson dell’agenzia fotografica Magnum, ad assumere il giovane. Haas accetta perché sente che potrà essere libero d’esprimere l’originale concezione dell’arte e della vita con il lavoro in giro per il mondo.
Tra gli anni Cinquanta e Ottanta del Novecento l’individuo sperimenta tecniche e contenuti svariati. Nel 1949 comincia le prime esperienze con pellicole a colori e diviene l’apprezzato direttore della fotografia di molti film del regista John Huston (The Bible, 1964) e di attori, musicisti e uomini politici del periodo: Clark Gable, Kirk Douglas, persino Albert Einstein e Martin Luther King amano farsi ritrarre dal valente fotografo. Nel 1959, Haas viene nominato presidente della Magnum. Egli riproduce, in qualità di “fotogiornalista”, inviato sui principali fronti di guerra, la drammaticità, ad esempio, della situazione in Vietnam (1953), ma anche, come “poeta-fotografo” gli aspetti segreti e nascosti di città quali New York, Parigi, Venezia. Uomo impregnato di realtà, Ernst non disdegna il bianco e nero e il colore per fare della riproduzione fotografica, attraverso l’utilizzo di parti di oggetti, fiori, elementi naturali, un mosaico ricco di sorprese e suggestioni, sia che si tratti d’un guscio di conchiglia, di una rosa rossa (Flowers, 1983) o di un muro dipinto a New York.
Fino alla scomparsa, l’artista austriaco porta avanti, inoltre, i grandi progetti di reportages fotografici alla scoperta del mondo “fuori” e “dentro” di noi: capolavoro rimane il libro fotografico sulla Creazione (The Creation, 1971, 1983) oltre che i testi In America (1975) o Himalayan Pilgrimage (1978). Haas si delinea, inoltre, ottimo fotografo di pubblicità: sue sono le campagne fotografiche dedicate alle sigarette Marlboro o le immagini delle Olimpiadi estive a Los Angeles per
la Chrysler
nel 1984.
La fotografia: “un ponte tra scienza ed arte”
Che cos’è la fotografia per Ernst Haas?
Egli scrive, nel suo sito, che “Photography is a bridge between science and art. […] The camera only facilitates the taking. The photographer must do the giving in order to transform and transcend ordinary reality. The problem is to transform without deforming […] In every artist there is poetry.” (La fotografia è un ponte tra scienza ed arte. […] La macchina fotografica soltanto facilita la comprensione di ciò che si coglie. Il fotografo deve fare in modo di mettere in ordine per trasformare e trascendere l’ordinaria realtà. Il problema consiste nel trasformare senza deformare […] In ogni artista c’è la poesia). Quindi l’essenza “spirituale” della fotografia consiste, per l’autore, nel cogliere con sguardo acuto e penetrante “le moment décisif”, cioè il momento decisivo di un’azione già teorizzato e concretizzato dai lavori di Henry Cartier-Bresson; in più emerge un “quid” d’energia e sorpresa che rende l’oggetto un elemento simbolico ed ineguagliabile.
Da un punto di vista tecnico, l’autore compie realizzazioni con il bianco e nero e il colore, fissa fatti e personaggi storici (Martin Luther King, la guerra in Vietnam); pure “costruisce” forme di luce e di colore (The Creation, Flowers). L’esperienza di fotogiornalista-inviato di guerra si amplia con innovative emozioni e tecniche applicative. La fotografia, inoltre, presenta un profondo legame con le altre arti espressive, poesia, musica, cinema, poiché tutto è emozione. Infine, l’autore austriaco utilizza e valorizza il “mosso” dell’inquadratura, ad esempio, ne Il ciclo delle corride (“Life”, 1957), nei cavalli selvaggi al galoppo nelle immense praterie americane (le immagini dal film The Misfits, “Gli spostati”, 1960) o di volatili liberi nei cieli.
La multiforme e complessa rilevanza umana e professionale di Ernst Haas si può, allora, riassumere con la celebre frase conclusiva, ancora tratta dal volume The Creation: “In photography, through an interplay of scales, a whole universe within a universe can be revealed.” (In fotografia, attraverso un gioco di gradazioni, può essere rivelato un immenso universo all’interno di un universo).
Per saperne di più
Per la bibliografia dell’artista e sull’artista si consiglia il sito: www.ernst-haas.com
In particolare segnaliamo alcune pubblicazioni fondamentali:
ERNST HAAS, The Creation, The Viking Press, New York 1971 (1983).
ERNST HAAS, Venice, Time-Life Books, Amsterdam 1976.
ELLEN HANDY, Reflections in glass eye, Bulfinch Press/ICP, New York 1989.
Il presente scritto è stato dato al pubblico in occasione della conferenza dallo stesso titolo, per il ciclo “I grandi fotografi”, iniziativa organizzata dal Museo Nazionale della Fotografia “Cav. Alberto Sorlini” di Brescia, avvenuta il 24 gennaio 2009 presso
la Sala Conferenze
del Museo alle ore 16.