Oh, guarda: il Santuario è impalcato!
La facciata del Santuario della Madonna del Carmine a San Felice del Benàco ha la facciata quattrocentesca letteralmente ricoperta da uno intricato ponteggio.
Sarà stato il terremoto del 2004, altri lavori di restauro? Chissà.
Però si può entrare. L'interno è come me lo ricordavo.
Nella quieta mattina, poca gente.
Il posto è ampio, ad un unico ambiente (navata), con le pareti, le volte a crociera ad affresco. Non grandi cicli con storie e simboli, ma riquadri dipinti sulle pareti: gli ex-voto. È un tripudio, infatti, di Madonne con Bambino, Santi vari, scritte di committenti del luogo, date che fissano momenti precisi nel tempo, tra il 1471 e il 1472. I colori sono ancora lucenti, pur con alcune parti ormai perdute. Predominano il rosso porpora, l'azzurro, il verde scuro, il blu intenso, qualche traccia d'oro. Maestri ignoti, un pittore che è stato chiamato in vari modi, "Maestro del Santuario di San Felice", "Maestro delle tavolette di Salò".
Nella parte alta e lungo gli arconi all'incrocio delle volte spiccano fregi e scene del primo quarto del Cinquecento con scritte in latino: nobili ed autorità rendono omaggio alla Madonna del Carmine.
È proprio vero che non si finisce mai d'imparare e d'osservare.
Ogni volta, complici l'attenzione, lo sguardo, l'emozione, ciò che vediamo lo guardiamo per la prima volta. E così è anche per il Santuario.
Forse anche il fatto di visitare il luogo incantato senza funzioni liturgiche permette di soffermarsi meglio sui particolari, sul mondo di luce e di colore che ci circonda.
Ecco: sulla navata di destra per chi entra, circa a metà, c'è un bellissimo disegno preparatorio verde e bianco d'un Cristo crocefisso tra
la Vergine
e San Giovanni Evangelista (sinopia). Pare una xilografia gigantesca. Le pennellate bianche diventano le parti incise sul legno pronte ad essere inchiostrate. Ma è sempre il Maestro del Santuario? Mah, mi rammenta quasi un artista nordico o un artefice imbevuto dei crudi liquori della drammaticità figurativa d'ambito tedesco.
In fondo,
la Cappella
del Santissimo: un giovane prete prega in silenzio tra le fiammelle devote.
Presso l'altar maggiore
la Statua
della Madonna del Carmelo, simbolo di fede e devozione. Nel presbiterio e lungo la navata di destra si scorgono resti d'affreschi dell'epoca, con Santi carmelitani, immagini di Madonne con Bambino, San Sebastiano colpito dagli sgherri che mi ricorda, sbaglierò, persino la cromia stridente e allucinata del toscano Paolo Uccello.
Percorro il cammino all'inverso, dal presbiterio all'entrata. In fondo alla chiesa, una nicchia, con un'altra Madonna lignea forse settecentesca. Scorgo, a lato, nascosta, una mensola con un ampio quaderno. Sono le parole di quanti si affidano alla Madonna. Non posso leggere, non è discreto. No. Non resisto. Sbircio, appena un momento.
E resto senza parole. Sono pensieri, piccole preghiere, spesso umili, ma sinceri e sentiti. C'è chi affida i propri cari alla Madonna, la famiglia, un parente.
Mi riconosco in una frase tanto breve quanto incisiva: "Aiutami!"