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Reinhart Koselleck
Il vocabolario della modernità
Il Mulino, 160 pagine, € 15,00

ANTICHE PAROLE SEMPRE ATTUALI

di Attilio Mazza


Quando nacquero le parole della modernità? In tempi antichi. Lo afferma Reinhart Koselleck, autore del saggio Il vocabolario della modernità, edito dal Mulino. Lo studioso e docente in varie Università, fra cui Heidelbeg, scomparso nel 2006, elaborò un modello di storia fondato sulla convinzione che la dissoluzione del mondo antico e la nascita di quello moderno abbiano lasciato vistose tracce nelle nostre parole e nei nostri concetti. Vocaboli come Progresso, Sviluppo, Emancipazione, Utopia, Crisi hanno, dunque radici antiche.
Emancipazione, ad esempio, è una parola entrata nel linguaggio comune. Il vocabolo risale al latino emancipatio e lo Zanichelli così lo definisce: «Liberazione da un vincolo, da una soggezione e sim.». Ma il concetto è assai più remoto e affonda nel mito. Nell’Odissea, infatti, si legge che «quando i servi non vogliono più lavorare a dovere, Zeus dalla voce possente toglie la metà del lavoro di un uomo». Un servo è quindi un mezzo uomo. Il suo ruolo è quello di servire, mentre quello dell’uomo è di comandare. Il passo verso la schiavitù fu poi breve.
Il termine emancipatio, derivò da manu capere. «Designava nella Roma repubblicana l'atto giuridico in forza del quale un pater familias poteva liberare il proprio figlio dalla patria potestà». L’uso di tale parola fu poi “elastico” nel tempo. Nel Medioevo la liberazione concessa in anticipo venne chiamata emancipazione ed anche manumissio, riferita però solo agli schiavi. E nel Settecento assunse il significato d’indipendenza. Nacque poi il riflessivo emanciparsi. Ma già prima il grande umanista francese François Rabelais affermò nel XVI secolo la necessità di emanciparsi dalla schiavitù dell’ignoranza. E fu un salto concettuale conseguente a radicale cambiamento di mentalità.