Tutti i diritti riservati


Cristiano Armati /Yari Selvetella
Roma criminale
Newton & Compton, 254 pagine, €9,90

Fra violenza e amore

di Attilio Mazza

Violenza e amore: questo il doppio e contrastante segno sotto il quale nacque Roma. Il primo glielo impresse Romolo, bagnando col sangue del fratello Remo il solco con cui tracciò i confini della città nel 753 a . C., proprio nel giorno stesso del “Natale di Roma”, il 21 aprile. Il secondo segno, opposto e positivo, fu racchiuso “segretamente” nel nome stesso della città, palese se letto al contrario, «parola esoterica che i pontefici avrebbero sussurrato nei secoli dei secoli nelle zone più recondite delle loro celebrazioni» e poi messaggio apertamente proclamato con l’avvento del Cristianesimo.
Lo scrive Cristiano Armati, autore con Yari Selvetella del saggio Roma criminale, edito da Newton & Compton. In verità, negli oltre due millenni e mezzo di storia della “Caput mundi”, sembra sia prevalso il primo segno su quell’Amor ancora oggi custodito sul colle Vaticano e purtroppo adottato solamente da pochi (o pochissimi) uomini di buona volontà, di ogni razza, che hanno compreso e fatto lievitare il messaggio universale in grado di far cessare ogni violenza sulla Terra.
GLOBALIZZAZIONE  – Per dare continuità al segno negativo, subito gli uomini della nuova città tracciata sul Palatino non trovarono nulla di meglio, per creare la propria discendenza, che tendere un’imboscata alle ragazze sabine, violentandole (niente di nuovo sotto il sole!) e poi sposandole. «E i loro figli, romani da appena una generazione, avrebbero subito drizzato gli occhi sul mondo e, dal Palatino agli altri colli, dalle spiagge di Ostia a tutte le sponde del Mediterraneo, dalle montagne che incoronano l’Italia, fino alle steppe gelate, avrebbero impugnato la daga e avrebbero conquistato questo mondo».
Fu la prima forma di globalizzazione che, assorbita la cultura greca, impose a tutte le terre allora conosciute la lingua latina e il diritto romano per un grande numero di secoli, ben oltre la caduta dell’Impero romano d’Occidente prima e d’Oriente poi, sino quasi alla soglia dell’era moderna, vale a dire sino a quando nelle corti si parlò il latino, gradualmente soppiantato dai dialetti locali.
Poteva, una città, segnata dalla violenza, «fondata con un omicidio e popolata con uno stupro di massa», far prevalere su tale segno il suo contrario, quell’Amor nascosto nel suo stesso nome? No, almeno sino ad oggi, leggendo quanto accaduto in oltre duemila anni.
Sembra che il sangue abbia sempre bagnato le strade di Roma. Impunito o quasi nelle epoche più lontane, quando il potere era nelle mani di un pugno di uomini. E ancora sempre impunito quando, nel volgere dei tempi, nuove caste seppero accaparrarsi beni e asservire le persone. «Una città irosa, e incrollabilmente fedele all’opinione della propria grandezza, in continua sfida con se stessa. A ciascuno le sue armi: guanti e sciabole per l’alta società, coltello e pistola per i rioni popolari». Ma sempre sangue «sempre uguale, rosso e inutile, nei vicoli e nei campi», scrive ancora Yari  Selvetella.
DUELLO TRA LETTERATI - Fra le vicende, per così dire d’onore, fortunatamente non sfociate in un grave versamento di sangue, vi fu quella poco ricordata del duello fra due letterati famosi: Giuseppe Ungaretti e Massimo Bontempelli. Si sfidarono alla spada l’8 agosto 1926 nel giardino della villa di Luigi Pirandello «per una polemica iniziata sulle colonne del quotidiano “Il Tevere” e proseguita poi nella famosa terza saletta del Caffé Aragno, dove Bontempelli schiaffeggiò un furibondo Ungaretti. Lo scontro fu diretto dal famoso maestro d’armi Agesilao Greco. Iniziò alle 18, poco prima dell’aperitivo. Al terzo assalto, Ungaretti, che più della spada combatteva brandendo, nella chiara luce agostana, occhi infuocati da ogni parola taciuta nell’agone, fu ferito leggermente all’avambraccio destro. Il duello fu interrotto e subito dopo si brindò all’avvenuta riconciliazione, mentre Bontempelli e Ungaretti, a braccetto, continuavano a parlare».
Sfide fra gentiluomini. Ben altro furono, invece, le vendette dei bulli romani che imperversarono tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento. Nel 1910, anno in cui fu «ucciso “er Tinea”, cioè “er più” di Trastevere, uno dei bulli più famosi di Roma», i morti per armi da taglio furono 18 e i feriti 230.
I due autori focalizzano nel libro, aggiornato al 2009, soprattutto gli episodi più clamorosi degli ultimi centocinquant’anni, quelli dell’Unità d’Italia le cui celebrazioni culmineranno il prossimo anno, il 17 marzo, anniversario della proclamazione del Regno. Ed ecco tutta una serie di fatti di sangue, molti ben presenti nella memoria collettiva, fra cui: il delitto Matteotti, la strage delle Fosse Ardeatine, il caso Montesi, i delitti di Via Veneto, il controverso assassinio di Pasolini, i misfatti della banda della Magliana, il rapimento ed esecuzione di Aldo Moro, la morte di Marta Russo, il mistero di Emanuela Orlandi, il caso d’Antona – e molto altro ancora –, sino agli stupri del Quartieraccio e della Caffarella a quelli che costantemente riempiono le pagine di cronaca. E sempre, in ogni epoca, il popolo spettatore e vittima di vicende spesso misteriose e irrisolte.
Amor sconfiggerà Roma violenta? Qualcuno afferma di sì. Ma sarà alla fine dei tempi, o quanto meno al sorgere di una nuova era.