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Slow Food. Una storia tra politica e piacere
di Geoff Andrews
Il Mulino, 222 pagine, € 15,00

E’ una globalizzazione tutta particolare quella ideata da Carlo Petrini: mettere in rete i prodotti della Terra Madre tipici, di ogni territorio, per salvare la biodiversità. Questo lo spirito dello “Slow Food”, movimento internazionale fondato a Parigi nel 1989 e che in soli due decenni è riuscito a coinvolgere più centomila persone di oltre 132 Paesi del mondo. « Lo “Slow Food” – si legge nel Manifesto del dicembre 1989 – è un'idea che ha bisogno di molti sostenitori qualificati, per fare diventare questo moto (lento) un movimento internazionale, di cui la chiocciolina è il simbolo».
Massimo Montanari, storico dell’alimentazione e docente all’Università di Bologna, nel libro Il cibo come cultura, edito nel 2004, scrisse che «ogni tradizione, ogni identità è un prodotto della storia dinamico e instabile, generato da complessi fenomeni di scambio, di incroci, di contaminazioni. I modelli e le pratiche alimentari sono il punto d'incontro fra culture diverse, frutto della circolazione di uomini, di merci e di gusti da una parte all'altra del mondo».
Per Carlo Petrini – e per “Slow Food” – il cibo rappresenta soprattutto una fonte d’identità spesso in conflitto con le potenti forze che erodono le tradizioni locali e impongono le monoculture delle grandi imprese in un'ottica di errata globalizzazione. Apprezzamento, quindi, per la diversità delle produzioni e per il cibo considerato elemento importante, specchio del territorio.
Ecco, in sintesi, un concetto fondamentale dello “Slow Food”: la «ricollocazione». Tale idea venne compiutamente espressa da Janet Lymburn nel saggio Il «terroir» culinario, pubblicato nell’aprile 2005 da «Slow». «Terroir» è parola francese che indica la realtà caratterizzata da condizioni naturali, tipiche e ben spiega il legame che esiste, ad esempio, tra terreno, clima e tradizione.
«Quello di terroir è un concetto che coglie lo spirito, la poesia, il linguaggio del mangiare e del bere e riconosce il ruolo svolto dal retaggio e dalla cultura nella nostra vita ordinaria. In termini semplici, il bicchiere di vino che assaporiamo è lo specchio dell'ambiente […] In un contesto più generale riflette anche la personalità della regione in cui il vino è nato: la cultura e l'eredità di una comunità specifica, le sue pratiche agricole in costante evoluzione».
Negli anni Cinquanta Mario Soldati realizzò il documentario tv, Viaggio nella Valle del Po alla ricerca dei cibi genuini. Mezzo secolo dopo, nel settembre ottobre 2007, un gruppo di studenti di scienze gastronomiche intraprese il giro di un mese in bicicletta e in barca sul Po ripercorrendo l’itinerario del filmato di Mario Soldati per conoscere le caratteristiche di quel terroir. I giovani attraversarono tredici province e quattro regioni, e lungo il grande e mitico fiume. scoprirono gravi danni ecologici, ma anche il permanere di solide culture alimentari locali.
Quell’esplorazione fu un significativo esempio di come conoscere un terroir per valorizzarne la tipicità, e salvare il salvabile di antichissime tradizioni agricole e culinarie. Concezione fatta propria dallo “Slow Food”, alla base della fortuna delle tradizioni vitivinicole e gastronomiche la cui valorizzazione è addirittura considerata un’importante forma di «democrazia locale».
In nome della salvaguardia della propria identità nel 1999 a Milleau, in Francia, José Bové si mise alla testa di un gruppo di allevatori di pecore che con i loro trattori smantellarono un McDonald’s non ancora completato. L’azione di protesta fu considerata un’azione di salvaguardia dei propri valori (anche economici) in un mondo in cui si trova lo stesso cibo ovunque si vada.
Carlo Petrini considera basilare il concetto di terroir. Si è interessato già in anni lontani della cultura popolare delle Langhe attingendo alle radici della tradizione. Negli anni 80, durante una visita ai territori vitivinicoli francesi con l’Arcigola, rilevò come anche le Langhe avessero una propria antica “memoria”. Tuttavia non disponevano delle infrastrutture delle regioni d'Oltralpe e gli stessi prodotti agricoli mancavano ancora del giusto riconoscimento pubblico e neppure il turismo li aveva scoperti. Si chiese se la Langa non potesse stare al Piemonte come la Côte d’Or alla Borgogna.
Si trattava, quindi, di far conoscere una realtà emergente che per qualità poteva rivaleggiare con quella francese. Nacque così la guida Vini d'Italia che già nel 1987 elencava cinquecento produttori e circa 1500 etichette, diventata via via una delle pubblicazioni di riferimento del gusto. E la guida Osterie d'Italia nel 1990 ha contribuito a far conoscere un patrimonio non secondario.
Lo “Slow Food”, in aggiunta alle molteplici critiche alla globalizzazione sconsiderata, suggerisce un concetto diverso di comunità locale. L’obiettivo è la «ricollocazione» senza subire i vincoli economici e culturali imposti dal mercato globale, come si legge nel saggio del giornalista e scrittore inglese Geoff Andrews, pubblicato dal Mulino, “Slow Food”. Una storia tra politica e piacere.
Anche il poeta americano Wendell Berry che vive nel Kentucky, ha fatto del suo impegno civile la difesa delle identità locali, offrendo il proprio contributo alla tutela della terra e dell'agricoltura. Egli sostiene che le piccole unità decentrate corrispondono al bisogno di diversità. E ciò è comune a tutti paesaggi rurali, sia americani sia europei sia di altri continenti.
Nel suo saggio pubblicato nel 1990 a New York, Wath Are People for?, Berry scrisse che abbiamo bisogno «di una gamma più vasta di specie e varietà di piante e animali, di capacità umane e di metodologie, così da poterle applicare con più sensibilità è più finezza al luogo». Una buona agricoltura e una buona silvicoltura affondano nella tradizione e non possono essere inventate da un giorno all'altro.
Ecco, quindi, il progetto per un'economia sostenibile, fondata anche sul concetto che “piccolo è bello”. Piccolo e globalizzato.

(copyright Attilio Mazza)