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Xinru Lui e Lynda Norene Shaffer
Le vie della seta

Il Mulino. 282 pagine, € 22,00

Le “Vie della seta” sono ancora oggi itinerari mitici nell’immaginario collettivo. E ancor più erano un paio di millenni orsono, quando furono le uniche vie di comunicazione del continente eurasiatico, fra Cina ed Europa.
Il mondo cinese rimase a lungo quasi isolato dalle grandi civiltà urbano-agricole del continente eurasiatico a causa delle imponenti montagne (Himalaya, Karakorum) e dei vasti deserti. Tuttavia, già mille anni prima del II secolo a. C., quando i mercanti iniziarono a trasportare la seta dalla Cina verso occidente, alcuni passi a 5.500 metri di altitudine della grande barriera montuosa erano già noti ai traffici. Per attraversare, inoltre, gli immensi deserti, le carovane di dromedari si erano dimostrate affidabili. Fu tuttavia solo con la nascita delle Vie della seta che vennero superati a Ovest gli ostacoli geografici.
La ricostruzione di vicende lontane millenni, sarebbe stata impossibile senza il soccorso dell’archeologia. Lo affermano Xinru Lui, docente di Storia della Cina antica al College of New Jersey e Lynda Norene Shaffer, emerita di Storia alla Tufts University, autrici del saggio Le vie della seta, edito dal Mulino.
Le carovane che sfidarono itinerari impervi lungo le Vie della seta, non trasportavano solo il prezioso tessuto lucido e flessibile, assai resistente. Nei carichi di andata e di ritorno, non mancavano i “Sette tesori”, metalli preziosi e gemme, indispensabili ai vasti monasteri buddhisti. Ecco, dunque, l’argento e l’oro, destinati in particolare al conio di monete romane e persiane; il lapislazzulo, preziosissimo sin dalla remota antichità, e che si poteva trovare solo in Badakhshan, nell’Afganistan nordorientale; il cristallo, esportato dall’India; il corallo rosso proveniente dal Mediterraneo orientale; la corniola (o agata) originaria dei monti Vindhya nell’India occidentale o dell’Asia; le perle del golfo Persico.
Il tesoro più notevole, rinvenuto dagli archeologi fra le rovine di Yong-ning, fu un deposito di lapislazzuli, pietre blu scuro, considerate estremamente preziose già duemila anni fa. E’ ciò perché, in uno dei testi buddhisti mahayana si legge che i capelli del Buddha avevano «il colore del lapislazzulo». Per dipingerli, quindi, gli artisti utilizzavano un pigmento blu ottenuto frantumando in polvere tale pietra.
Ma anche la seta era necessaria ai monasteri, oltre ai Sette tesori. Il monaco Fa Xien testimoniò, nel 339 d. C., di aver attraversato, nel tragitto dalla Cina all’India con una carovana, alcune città-oasi che fiancheggiano le estremità del deserto dl Takla Makan. Osservò che i monasteri erano decorati con molti stendardi di seta decorati, usati nelle grandi festività. I pellegrini di epoche successive, lessero i racconti di Fa Xien e, nell’intraprendere il faticoso itinerario dalla Cina all’India, «portarono con sé molti di questi stendardi oltre a borse di seta piene di incenso da donare lungo il percorso».
Lungo le Vie della seta s’intrecciarono, quindi vicende favolose. Agli itinerari terrestri, che mantennero la loro importanza per circa quindici secoli, si aggiunsero successivamente le rotte marittime, attive per un periodo ancora più lungo. E furono tali vie a creare legami e scambi commerciali e culturali «senza precedenti fra le sponde occidentali dell’Eurasia e tra i popoli che vivevano nelle zone intermedie». Erano popolazioni assai diverse anche per modo di vivere: da quelle «urbane e agricole stanziate negli imperi che si estendevano in tutto il continente eurasiatico», ai popoli «che vivevano nelle praterie a nord di questi imperi spostando le proprie mandrie e le proprie tende a seconda delle stagioni e delle circostanze». E a sud, i mari e gli oceani meridionali, «dove molto tempo prima marinai delle più varie origini avevano sperimentato diverse rotte marittime che transitavano dal golfo Persico e dal mar Rosso, collegando Mesopotamia ed Egitto». Furono i precursori della prima rotta marittima della seta, aperta nel I secolo d. C., «collegando i porti indiani (verso i quali la seta veniva trasportata) con i territori orientali dell’impero romano, uno dei principali mercati della seta cinese». Secoli dopo si svilupparono altre rotte incrementando significativamente i traffici commerciali.
Quanto alle origini della seta si perdono nell’abisso del tempo. Fu uno dei primi tessuti realizzati in Cina. Gli archeologi hanno trovato bachi da seta in un sito della Cina settentrionale riconducibile alla cultura Yangshao (o della ceramica dipinta), sviluppatasi tra il 4800 e il 3000 a . C. In «un altro sito, datato all’epoca della dinastia Shang (XVI-XI secolo a. C.) gli archeologi hanno rinvenuto l’ideogramma della parola “seta” scritto su ossa oracolari». Non solo. Testi cinesi risalenti all’inizio del primo millennio a. C. «comprendono canzoni popolari che accennano alla tessitura della seta e ai tessuti di seta».
Quando nacquero le Vie della seta, principale occasione di rapporti fra Cina ed Europa fino al 1300, il prezioso tessuto era dunque da tempo assai noto e diffuso. E non era considerato una costosa merce di lusso. Abiti di seta venivano indossati sia dal popolo, sia dagli appartenenti alle caste nobili. Anche se con differenze notevoli. «Le botteghe del governo producevano elaborati e raffinati tessuti di seta come broccati e arazzi e abiti dai complessi ricami che la gente comune non poteva permettersi». Sotto alcune dinastie fu addirittura proibito al popolo d’indossare tele preziose. Norme adottate in epoca medievale anche in Europa. Nulla di nuovo, quindi, sotto il sole.


A cura di Attilio Mazza