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Estetica del paesaggio
a cura di Paolo d’Angelo
con saggi di Georg Simmel, Rainer Maria Rilke, Joachim Ritter, Rosario Assunto, Allen Carlson, Emily Brady, Jay Appleton, Augustin Berque, Alain Roger, Martin Seel,Gianni Carchia, Massimo Venturi Ferriolo, Luisa Bonesio
Il Mulino, 282 pagine, € 22,50
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Quale significato ha il paesaggio nella nostra vita? Estetico, terapeutico, economico? Riusciamo ancora a “vedere” un paesaggio? O la natura che ci circonda è oscurata ai nostri occhi come la volta celeste notturna dalle luci abbaglianti della città? I quesiti meritano una risposta.
Sul significato del paesaggio si erano già interrogati gli antichi. La natura, scrisse Platone nel Timeo, si fa paesaggio quando, rimanendo se stessa o modificandosi grazie alla téchne, entra nel tempo degli uomini che potremmo definire «immagine mobile dell'eternità». Dalla filosofia quindi all’estetica il passo è breve. Si fecero carico i grandi pittori di esaltare la bellezza. Il paesaggio divenne «un pretesto per il sentire dell’uomo, un simbolo dell’umana gioia, della semplicità, della devozione», annotò Rainer Maria Rilke, uno dei massimi poeti del Novecento. La stessa la linea era stata adottata Leonardo. Scrive Paolo D’Angelo: «Nei suoi dipinti i paesaggi sono l’espressione della sua conoscenza più profonda, lo specchio azzurro in cui si riflettono le leggi segrete, le lontananze vaste come il futuro, come il futuro imperscrutabile. Non a caso Leonardo, che dell’uomo aveva ritratto il vissuto, il destino che aveva attraversato in solitudine, avvertì anche il paesaggio come il mezzo per esprimere un’esperienza quasi ineffabile, la profondità, la tristezza».
In un tempo come il nostro, in cui anche il paesaggio viene consumato e banalizzato, addirittura distrutto da un’economia sempre più ingorda e deformante, la necessità di una riflessione sul valore del paesaggio, è sentita da molti. Anche sotto il profilo spirituale. Lo ha fatto Paolo D’Angelo, docente di Estetica all’Università di Roma, curando il volume del Mulino, Estetica del paesaggio, in cui ha raccolto tredici saggi di autori di discipline diverse, dalla geografia ecologica, all’architettura, all’antropologia ad altro ancora. L’antologia ripercorre le tappe salienti della discussione sul paesaggio, mettendo in campo pensatori ed esteti, a cominciare dal canadese Allen Carlson, fra i primi a segnalare il rinnovato interesse nei confronti del tema, oggi sempre più dibattuto.
La parola «paesaggio» non è più, fortunatamente, un tabù, annota D’Angelo. Non accade più che il titolo di un libro contro le manomissioni e l'imbruttimento del paesaggio debba dissimulare il tema. La diffidenza nei confronti del significato estetico del paesaggio è largamente superata. Siamo convinti che il paesaggio è altra cosa dall'ambiente: il paesaggio ha sempre a che fare con la percezione di un soggetto ed è sempre in relazione con chi lo percepisce. Un esempio: «Quando ammiriamo l'imponenza di un albero secolare come il “Castagno dei 100 cavalli” in Sicilia, da un lato sentiamo la frescura dell'ombra della grande chioma, la superficie rugosa della corteccia, e vediamo l'andamento contorto dei rami, dall'altra immaginiamo le vicende di cui l'albero è stato testimone nella sua vita secolare e fantastichiamo le scene che possono essersi svolte al suo cospetto, per esempio dei cento cavalieri che avrebbero trovato rifugio sotto le sue chiome».
Il paesaggio, quindi, come parte della nostra vita, elemento fondamentale della nostra identità, della nostra stessa interiorità, fonte di emozioni e memoria del vissuto. Per questo amarlo significa difenderlo.
A cura di Attilio Mazza
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