Già: Si fa presto a dire cotto. La cucina è specchio di una società, di un modo di vivere, afferma Marino Niola, docente di Antropologia alimentare dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, autore del libro edito dal Mulino con il curioso titolo sopra citato. «L’alimentazione costituisce una cerniera tra natura e cultura, poiché articola funzioni fisiologiche e significati storici e culturali».
E ancora: «Il gusto traduce spesso compatibilità, tabù, preferenze d’altro ordine – per esempio religioso, sociale, economico, di prestigio – nei termini apparentemente naturali e oggettivi del buono e del cattivo». Nell’Europa Settentrionale, ad esempio, l’avversione per i funghi ha le principali ragioni dall’essere utilizzati come alimento per gli animali d’allevamento, come le mucche e le renne. E questo li configura, simbolicamente, come «cibo da bestie e non da uomini». In altri casi il loro consumo, in particolare dei funghi allucinogeni come nelle culture sciamaniche di area siberiana e mesoamericana, è riservato ad eccezionali occasioni rituali, per cui, paradossalmente, costituiscono un’ali-mentazione più adatta agli spiriti che agli uomini.
Esistono, quindi cibi puri e cibi impuri, cibi per il corpo e cibi per l’anima. La cucina è, dunque, anche un veicolo di magia. La strega, ad esempio, è identificata nell’immaginario collettivo come una donna dagli appetiti sfrenati, mostruosi, addirittura contro natura, al punto da nutrirsi di bambini. La donna-strega, inoltre, cucina senza sale, ingrediente considerato sacro già nel mondo romano connesso all’immortalità degli dei. Anche nella cultura cristiana il sale «conserva uno statuto magico-sacrale».
Marino Niola scrive che esiste pure la «cucina della memoria», un patrimonio da salvare. Tutti hanno il ricordo di un particolare sapore che rimanda agli anni dell’infanzia. Ad esempio «pane, burro e zucchero che fino agli anni Sessanta addolcì la bocca di un’Italia povera ma bella». Le mamme erano – e molte sono ancora – custodi di segrete alchimie del gusto, dei «sapori del cuore».
Naturalmente nell’intrigante carrellata nel mondo del cibo non possono mancare le cene rituali: quelle, ad esempio, della vigilia di Natale, diverse nel Nord dal Sud, a base di capitone fritto, frutti di mare e dolci nel Meridione, cappelletti, o passatelli in brodo, bollito con mostarde, panettone nel Settentrione.
E che dire delle orge di Carnevale? Dall’inizio alla fine tutto è all’insegna del maiale «l’animale che nell’antropologia dell’Europa cristiana è strettamente legato a sant’Antonio Abate, la cui ricorrenza del 17 gennaio, dà, appunto, inizio al periodo carnevalesco».
Impossibile solo accennare ai molteplici temi di questo coinvolgente Si fa presto a dire cotto, che sta fra ricerca antropologica e gastronomica a vasto raggio, anche geografico, per scovare peculiari significati, spesso curiosi, collegati all’esigenza primaria per sopravvivere, quella dell’alimentazione, appunto.
Senza dimenticare che alcune categorie culinarie, hanno finito per identificare particolari popolazioni – dai mangiapatate ai mangia fagioli, ai mangiagatti, ai mangiarane – che, nello stesso tempo, stigmatizzano la loro diversità e inferiorità, in termini alimentari.
Attilio Mazza