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Franco Di Tizio
«D’Annunzio e Antonino Liberi. Carteggio 1879-1933»
Pescara, Ianieri Editore, 320 pagine, € 28,00



Franco di Tizio, infaticabile studioso della vita di Gabriele d’Annunzio, ma non solo, aggiunge un nuovo volume alla collana dannunziana che gli ha riservato l’editore Ianieri di Pescara. Il suo ventunesimo libro, «D’Annunzio e Antonino Liberi. Carteggio 1879-1933», fa seguito a quello “monumentale” e recentissimo della corrispondenza Maroni presentato ai primi di agosto al Vittoriale.
Antonino Liberi (1855 - 1933) fu amico d’infanzia di Gabriele d’Annunzio e cognato dal 1892: in quell’anno, infatti, sposò Ernestina sorella del poeta; dal matrimonio nacque Nadina, unica figlia, assai affezionata allo zio. Si laureò in ingegneria a Napoli nel 1881 e due anni dopo fu chiamato dal padre di Gabriele, Francesco Paolo d’Annunzio, sindaco di Pescara – che certo non immaginava sarebbe diventato suo genero –, a dirigere l’ufficio tecnico del Comune; e fu l’avvio di una carriera che lo vide progettista di numerose opere pubbliche e private. La fama e la stima lo favorirono presso molti committenti al punto che nel 1924 sentì la necessità di chiedere la collaborazione all’architetto Nicola Simeone aprendo lo «Studio di Ingegneria ed Architettura Liberi & Simeone».
La ricca introduzione di Franco Di Tizio informa puntualmente di tutta la vita professionale di Antonino Liberi, utile per comprendere il rapporto di fiducia e di affetto con l’illustre cognato, personaggio di primo piano.
Il punto massimo della loro amicizia si può datare al 21 febbraio 1927, quando il poeta lo chiamò a Gardone Riviera per discutere i lavori di restauro della casa natale di Pescara. Liberi giunse sul Garda con la figlia Nadina e vi rimase sette giorni. Dopo quell’incontro l’intensificarsi del rapporto è documentato da un centinaio di lettere. Poi, nel dicembre 1929, Gabriele d’Annunzio tolse al cognato l’incarico di portare a termine i lavori.
Il motivo della rottura, causa di sofferenza per Liberi, fu un probabile malinteso, come scrive Franco Di Tizio: la domestica di casa d’Annunzio gli aveva riferito, durante una visita, che il cognato «aveva fatto eliminare tre gradini che portavano alla stanza della madre» adorata; un sacrilegio per il poeta! La rottura fu violenta e dolorosa. Ernestina si schierò dalla parte del marito. E per questo, da quel momento, «il carteggio tra i due si interruppe bruscamente. Ernestina, qualche tempo dopo, tornò a scrivere al fratello».
Tre anni dopo la morte di Antonino, d’Annunzio fu molto vicino alla sorella Ernestina quando dovette subire un intervento chirurgico nell’inutile tentativo di avere salva la vita. Le scrisse, infatti, l’8 giugno 1936: «Cara cara Ernestina, mia dolce sorella, immagine viva della madre nostra, sono al tuo capezzale e mi sentirai vicino finché tu non sia guarita. Tu sai che io sono l’Orbo veggente e che i miei presagi non falliscono mai». Ma anche gli auspici dell’Orbo veggente nulla poterono contro il destino.

Attilio Mazza