Roberto Escobar insegna Filosofia politica nell'Università di Milano e collabora al “Sole-24 Ore”. Recentemente ha pubblicato con il Mulino il saggio «Metamorfosi della paura», ricerca delle radici profonde della nuova paura che fa sentire l’Europa una sorta di città assediata, a sud e a est, da un'immigrazione che percepisce come una calata dei barbari.
Non si tratta di un nuovo fenomeno psicologico. Alle radici si ritrova «una mai interrotta metamorfosi della paura: paura trasfigurata, capovolta in ordine e sicurezza, tenuta a stento entro confini che paiono ma non sono di pietra. Si tratta d'una costruzione, anzi d'un artificio grandioso, ma terribilmente precario», scrive lo studioso. Il quale ipotizza «che, per reggerne lo sforzo, gli uomini ricorrono a meccanismi crudeli che cercano di ridurre e domesticare la complessità indesiderabile del mondo».
Ed ecco la paura che costruisce confini, erige barricate, esplode in violenza contro gli “invasori”. Finita l'appartenenza legata alle ideologie, si va diffondendo un'appartenenza etnica, minima, localistica; riemergono i meccanismi più arcaici e premorali che fondano e regolano il sentimento di identità, dei gruppi come dei singoli. Animali senza artigli, sprovvisti di strumenti istintuali adeguati per sopravvivere, gli uomini vivono sul margine del disordine.
Per vincere questa precarietà, i gruppi si chiudono in confini, materiali ma anche e soprattutto rituali e simbolici, ed espellono la paura rovesciandola in odio per il nemico esterno o – che è lo stesso – lo straniero interno: immigrato, nero, ebreo, zingaro.
Attilio Mazza