Gabriele d’Annunzio conobbe Alessandra di Rudinì al matrimonio del fratello di lei, il conte Carlo, amico del poeta e del quale fu testimone; tornò a rivederla a Milano la sera del 6 maggio alla Società Leonardo da Vinci, dove Gemma Bellincioni cantava romanze di Tosti alla presenza di un pubblico scelto.
Da quella bellezza fu immediatamente preso, nonostante il legame con
la Duse
, e si può pensare che, nel serrato corteggiamento, l'abbia raggiunta a Garda, passando per Brescia (l'amore travolgente avrà poi come scenario principale
la Capponcina
di Settignano). Il poeta soprannominò subito Alessandra, Nike, Vittoria, forse sull'eco dell'ode nella quale aveva in certo qual modo legato le due immagini: della donna e della statua.
Fabio Gaggia, ricercatore e storico veronese, getta nuova luce sulla nobildonna nel suo ultimo saggio, «Alessandra di Rudinì Carlotti tra laicismo, cattolicesimo e procedimenti giudiziari», edito dal Centro Studi per il Territorio Benacense, Comune di Costermano e Comune di Garda. Già il titolo chiarisce che il libro va ben oltre il focoso rapporto di Gabriele d’Annunzio alla Capponcina di Settignano con bella Alessandra. Gaggia ha indagato la vita della di Rudinì a tutto campo, come si comprende già scorrendo l’Indice, suddividendo la materia in tre parti e completando la biografia con ricco apparato di note, con l’appendice di una scheda cronologica e altra documentazione, la bibliografia e la raccolta di documenti.
Il prof. Gaggia si è dedicato alla nuova ricerca per tre ragioni, come egli stesso ha spiegato: «La prima motivazione deriva dal fatto che Alessandra di Rudinì Carlotti dal 1895 al 1911 risiedette a Garda, cioè nel mio paese e volevo conoscere meglio il personaggio. In secondo luogo avevo notato molte inesattezze nelle sue biografie “ romanzate” e l’assoluta mancanza di riferimenti archivistici. In terzo luogo i giudizi, ovvero i pregiudizi, espressi sul suo conto erano talmente contraddittori che qualcuno doveva aver mentito nella ricostruzione storica della sua vita. Ad esempio, le origini di Alessandra sono siciliane, pur essendo nata accidentalmente a Napoli nel 1976, e il suo vero nome è Alessandra Maria Antonietta Livia Starabba. Come si vede “di Rudinì” non compare, né poteva comparire!».
Il rapporto con Gabriele d’Annunzio segnò profondamente l’esistenza della bella Alessandra fra il 1903 il 1907, un rapporto breve ma sconvolgente. A questo proposito, da detto lo studioso di aver cercato di dimostrare che Alessandra, «non così bella come dimostrano le fotografie, sarebbe rimasta una emerita sconosciuta se non avesse incontrato il poeta e le sue decisioni, per quanto clamorose, sarebbero passate inosservate».
Particolarmente significativa fu poi la terza fase della vita di Alessandra, quella dedicata alla religione, suora nel Carmelo di Paray-le Monial nel 1911 e addirittura morta a Ginevra nel
1931 in
odore di santità: fu una sorta di espiazione. «La teoria della “espiazione” – afferma ancora il prof. Gaggia – è sostenuta sostanzialmente dallo storico Guglielmo Gatti; noi crediamo più semplicemente che la scelta del monastero di clausura da una parte sia stata una “fuga dal mondo”, dall’altra un modo di riscattare la propria esistenza dopo tante delusioni incontrate nella vita. Ci sarebbe da aggiungere che la religiosità di Alessandra è ancora tutta da scoprire e valutare, in quanto nella sua vita abbracciò varie correnti religiose (dall’arianesimo alla teosofia al tradizionalismo cattolico) e il problema religioso fu una componente costante della sua via. Il fatto poi che Alessandra invocasse d’Annunzio con lo pseudonimo “Elebani”, la dice lunga sulle sue conoscenze di “cose religiose”, anche se eretiche per i cattolici».
Tra le novità del nuovo libro l’analisi dei documenti del processo di Verona del dicembre
1904 in
cui Alessandra venne dichiarata “inabilitata”, per aver sperperato il patrimonio di famiglia, in particolare, ma non solo, durante il periodo di vita con d’Annunzio. «Dopo aver letto tutto quello che su di lei era stato scritto – afferma Gaggia – avevo deciso di cercare documenti nuovi ed inediti, per conoscere meglio questo personaggio femminile per molti versi enigmatico. Ne ho trovati fin troppi! Ho potuto appurare inoltre che nessun ricercatore aveva mai letto i suoi certificati di nascita, di matrimonio e di morte che sono i documenti basilari da cui partire. I documenti scoperti presso l’Archivio di Stato di Verona mi hanno poi costretto ad indagare in Sicilia e nel Cuneese dove la nobildonna aveva i suoi beni, ovvero le proprietà terriere, con risultati sorprendenti (ad esempio a Pachino ho rintracciato due sue lettere inedite). Diciamo che in un primo momento avevo pensato, come tutti del resto, che Alessandra avesse cominciato a scialacquare i suoi beni dopo aver conosciuto d’Annunzio; i processi invece ci dicono che questa donna doveva avere le “mani bucate” già nel 1897 e cioè quando il marito Marcello Carlotti era ancora in vita. Non conosciamo ancora con esattezza la causa degli enormi indebitamenti quando lei aveva solo 21 anni e il motivo che spinse il marito a firmare numerose cambiali in bianco con trasferimento di capitali da Verona alla Sicilia. E’ evidente che la condanna di “inabilitazione” inflittale dal Tribunale di Verona servì certamente a frenare l’emorragia di denaro che lei continuava ad alimentare soprattutto al fianco di d’Annunzio, ma il “vizio” era congenito e particolarmente vistoso nel fratello Carlo Emanuele (anche lui “inabilitato” dal padre nel 1894). L’inabilitazione giunse quindi quanto mai provvidenziale. Certo è che lei aveva anche un altro vizio, quello di non pagare quasi mai i suoi creditori (fornitori, banche, usurai, prestazioni professionale ed altro) per cui subì non meno di 50 processi (noi ne abbiamo visionati una quarantina)».
Attilio Mazza