Giordano Bruno Guerri, già direttore di «Storia illustrata» e direttore editoriale della Mondadori, nonché autore e conduttore di trasmissioni televisive, nel suo ultimo libro edito dalla Mondadori, «D’Annunzio l’amante guerriero», inquadra la vicenda del poeta, vate e comandante, nell'Italia del suo tempo. Un paese provinciale «appena uscito dalle illusioni risorgimentali» e che trovò nel poeta il personaggio che «additava un'esistenza diversa, un riscatto o, almeno, un sogno.
D'Annunzio – annota ancora l’autore – «piegò la norma incalzandola con la scrittura, anzitutto, ma anche con passioni, gesti, compiacimenti trasgressivi. Rivendico la superiorità dall'arte su qualsiasi esperienza, allo stesso tempo adattandola alle esigenze di una collettività sempre più esigente, ma senza mai costringerla alla massificazione volgare. Seppe conquistare il mondo della borghesia, interpretandone le aspettative e i desideri, proponendo un modello d'eccezione in cui la letteratura si fondeva con una sfavillante offerta di vitalità e di creatività. Per questo fu davvero, prima di ogni altro artista, un personaggio pubblico; perché la sua immagine fu il frutto di una costruzione continua, di un'esistenza vissuta sotto gli occhi di tutti; perché seppe esibire, primo divo della modernità, le sue esperienze sentimentali e i suoi costumi di vita; ma soprattutto perché la sua avventura fu il canto maledetto e prezioso di un'Italia catturata dall'inscindibile binomio del testo e del gesto».
L’acuta e sintetica analisi di Guerri introduce il racconto esistenziale gettando una nuova luce sull’interprete della teoria del superuomo. Fu personaggio spesso irritante per il suo essere sempre in proscenio – dall’ascesa, allo zenit al declino – nei più diversi versanti della vita: da quello letterario a quello mondano. Ma è soprattutto sul significato della sua presenza politica che si sofferma lo storico: sull’eroe della grande guerra, sul comandante a Fiume, sul precursore del fascismo, inventore di rituali di cui si approprierà il nuovo regime con il cui capo Benito Mussolini il poeta avrà sempre un rapporto ambiguo.Il Duce, del resto, lo assecondò per tenerlo tranquillo nel lontano eremo
gardesano. Lo considerò un «uomo di genio», ma adatto alle «ore eccezionali», non a quelle della politica. E a Tom Antongini, segretario di d’Annunzio nel periodo francese e rimasto sempre a lui legato, espresse nei primi mesi del 1922 «un giudizio che mai avrebbe osato formulare in precedenza». E cioè che il ruolo di d’Annunzio era «irrilevante e che le sue iniziative, presenti e passate, erano quelle di un istrione inaffidabile e capriccioso, una specie di Malatestino vacuo e incapace di concepire con chicchessia un’alleanza duratura». Mussolini aveva infatti ben compreso che d’Annunzio non sarebbe mai stato per lui di alcuna utilità politica, ritenendosi superiore a tutti, anche al nuovo astro della politica italiana. Sarà poi il “volo dell’arcangelo” del 13 agosto 1922, la caduta quasi mortale dalla finestra della Stanza della musica della Prioria, a porre il vate definitivamente fuori gioco dalla partita politica.
In questo saggio dai ritmi narrativi, Giordano Bruno Guerri realizza una sintesi degli studi su d’Annunzio (di cui ricorrono nel 2008 i settant’anni dalla morte) offrendo un’interpretazione originale e priva di pregiudizi politici e morali, e affrontando ogni aspetto della vita inimitabile dell’«immaginifico», del Vate e del Comandante, da quelli letterari a quelli più scabrosi.
Attilio Mazza