«La casta», di Sergio Rizzo e di Gian Antonio Stella è diventato il libro dell’estate. La casa editrice Rizzoli continua a ristamparlo e per l’Italia, Paese in cui si legge assai poco, ha raggiunto nei soli primi due mesi una tiratura eccezionale, superando il mezzo milione di copie. Il sottotitolo, oltre ad anticipare i contenuti, spiega le ragioni di tanto interesse: «Così i politici italiani sono diventati intoccabili». Si legge d’un fiato e si rimane impressionati dalla quantità e gravità degli episodi denunciati di malcostume pubblico, senza distinzione di raggruppamenti.
I due autori mettono infatti a nudo, con sferzante ironia, la nostra classe dirigente, fatta anche di eroi che incredibilmente riescono a volare 37 ore al giorno sulla piccola flotta di aerei di Stato sempre pronta a decollare per portare Sua Eccellenza talvolta a una festa privata a Parigi. La rigorosa inchiesta dei due noti giornalisti denuncia, con dati inoppugnabili, come una certa classe politica sia diventata una oligarchia insaziabile – i bramini –, disponibile ad aumentarsi stipendi e a inventarsi gettoni, creando costantemente poltrone, istituendo Comunità montane anche al livello del mare, come quella di Murge Tarantina dove nessuno dei suoi nove comuni è montano, per gratificare i “trombati” alle elezioni politiche o amministrative, nonché i parenti e gli amici degli amici sostenitori del proprio raggruppamento partitico.
La voragine degli sprechi – il Quirinale, ad esempio, spende il quadruplo di Buckingham Palace – renderà impossibile il risanamento del debito pubblico. Ma ciò che mi sembra più grave è la diffusa cultura dell’interesse personale e dello sperpero che allontana sempre più il mondo della politica da quello degli onesti e dei generosi che ancora fortunatamente esistono nel nostro Paese.
Lo sperpero pubblico ha ormai toccato ogni livello (altro che costi della politica!). Alcuni sindaci e assessori percepiscono indennità impazzite. E pensare che in un’altra Italia, quella d’inizio Novecento, l’impegno pubblico era considerato un servizio alla comunità, quindi privo di remunerazione. Oggi, invece, godono del loro bravo gettone anche gli amministratori di comuni piccoli o piccolissimi; di località, cioè, che si possono gestire con poche riunioni dopo cena all’osteria.
Rizzo e Stella rilevano non solamente gli sprechi, ma anche i compensi spesso inadeguati all’impegno pubblico prestato a tempo pieno. Esistono, insomma, gravi sperequazioni. «Sono migliaia e migliaia – scrivono i due giornalisti – i sindaci e gli assessori e i consiglieri comunali che sgobbano con grande dignità e cristallina pulizia morale in cambio di tante grane e di pochi soldi», percependo poco meno della metà di quanto è riconosciuto a un dipendente medio del Senato.
Non è certo quindi da auspicare il ripristino dell’articolo 50 dello Statuto Albertino, secondo il quale «le funzioni di senatore e di deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione». Tale norma, fondata sull’idea che il pubblico denaro debba essere “rispettato”, vieterebbe di fatto l’accesso alla vita pubblica di quanti non godono di patrimoni personali! Tuttavia la necessità di un argine al costo della politica è sempre più sentito da parte di noi cittadini.
Attilio Mazza