Il «Guillame Tell» fu il capolavoro con cui Gioachino Rossini concluse sostanzialmente nel
1829 a
Parigi, a soli 37 anni, la sua folgorante carriera di compositore di quaranta opere in poco più di un quindicennio. E fu un «immenso affresco melodrammatico sulla liberazione del popolo svizzero dall’oppressione asburgica». Per i dettagli delle scene aveva mandato «lo scenografo Pierre-Luc Cicéri a studiare le antiche stampe e l’ambiente storico e naturalistico stesso della vicina Elvezia».
Lo ricorda Vittorio Emiliani nella monumentale biografia «Il furore e il silenzio. Vite di Goachino Rossini», edita dal Mulino. L’autore, giornalista italiano di successo, membro del Comitato di amministrazione della “Santa Cecilia” di Roma e della Rai, parlamentare e presidente per un quinquennio della Fondazione Rossini di Pesaro, non si limita a tracciare gli eventi dell’avventurosa esistenza del maestro pesarese, ma entra in profondità nella sua concezione musicale.
Informa, ad esempio, che il «Guillame Tell», opéra-monstre in cinque atti, andò in scena il 3 agosto nella Sala Peletier dell’Académie Royale de musique «davanti a un pubblico più scelto che si possa immaginare. Il “tout Paris” aveva infatti rinviato le vacanze estive per assistere a quella “prima” rossiniana che tanta aspettativa aveva suscitato, per mesi e mesi, sulle gazzette e nei salotti». E sin dall’amplissima ouverture «pubblico e critica compresero di avere di fronte un Rossini nuovo, inedito, con lo sguardo rivolto in avanti: in quelle prime pagine, prima elegiache e quindi incalzanti, egli aveva fatto eseguire ai violoncelli, al corno inglese, al flauto e poi a tutto il complesso orchestrale una sorta di manifesto programmatico di una grande opera la quale riusciva a coniugare, nel modo più felice e prezioso, i tratti salienti della musicalità italiana e i connotati di quella francese». Lo spettacolo risultò imponente e il successo strepitoso tenne inchiodati gli spettatori per circa cinque ore. Sulle gazzette musicali si lessero giudizi assoluti: «E’ vano cercare di misurare la grandezza del genio: il suo dominio non ha confini».
Emiliani, in questa poderosa biografia – che è anche il grande affresco di un’epoca –, ripercorre puntualmente l’esistenza di Rossini (Pesaro1792 – Passy [Parigi] 1868), sia storicamente che sotto il profilo musicale: dagli anni di enfant prodige, cantante, strumentista, compositore e studioso di Mozart e Haydn, genio introdotto nell’affascinante mondo del teatro dal padre musico e dalla madre soprano, alla successiva stagione di compositore a Napoli e a Roma (già celebre a 21 anni) assai fertile di melodrammi giocosi e tragici, fra neoclassicismo e romanticismo. Poi gli iniziali precoci segni della fragilità nervosa nell'alternarsi di “prime” burrascose o fredde, e di trionfi, acclamato e avversato fra Vienna, Londra e Parigi, dove rifondò il teatro lirico prima di tacere, amaramente.
Rossini rimase per la vita intera nostalgico di Bologna – dove la famiglia si era trasferita nei suoi anni giovanili – nonostante le rotture a causa delle passioni politiche che lo inseguirono per l’intera esistenza fra rivoluzioni e restaurazioni, amico di Metternich e insieme cantore della libertà. Fu un genio europeo dalle molte facce, alcune segrete, ovunque ammirato e osannato.
Attilio Mazza