«La prima riflessione che viene spontanea rispetto al tema dell'agricoltura [nel periodo della Repubblica Sociale Italiana], dall'osservatorio delle ricerche condotte presso l'Archivio centrale dello Stato, che è certo un osservatorio privilegiato, ma anche scorrendo la bibliografia in proposito, è l'assoluta carenza di ricerche specializzate. Due o tre titoli al più, caratterizzati altresì da un uso assai scarso delle fonti».
Così scrive Aldo G. Ricci introducendo l’intervento «L’attività del governo della RSI nell’agricoltura», uno dei temi centrali del volume «Con la vanga e col moschetto. Ruralità, ruralismo e vita quotidiana nella RSI», edito da Marsilio, a cura di Angelo Moioli, nella collana del Centro Studi e Documentazione sul periodo storico della RSI, che fa seguito al convegno svoltosi a Salò nel novembre 2004. La riflessione di Ricci sembra giustificare la presenza di contributi che nulla hanno a che fare con il periodo oggetto di ricerca, ad esempio quello su «Mussolini e l’estetismo rurale di D’Annunzio», esperienza ben lontana dal periodo della Repubblica di Salò e ormai esaurita anche come antefatto.
Tornando alle fonti relative al ruralismo durante
la Rsi
, Ricci annota che l’unica eccezione è «il recente saggio di Simone Misiani dedicato a Paolo Albertario, direttore generale dell'Alimentazione, nel Ministero dell'Agricoltura, basato largamente sull'archivio personale di questo dirigente tecnico, che proseguì poi la sua attività nello stesso settore anche dopo
la Liberazione
; ma anche, naturalmente, le pagine dedicate a questo aspetto della vita sociale nel volume di Lutz Klinkhammerl». Inoltre risalgono ormai a oltre vent'anni fa i saggi di Pier Paolo Poggio e Gianni Sciola, e quello di Mario Toscano.
Le ragioni del silenzio, osserva sempre Ricci, sono varie. La prima è generale e riguarda l'intera RSI come oggetto di rimozione storica, una rimozione dalle molte radici alla quale solo di recente si è cominciato a ovviare. La seconda è la prevalenza, nell’ambito degli studi sulla RSI, di altre tematiche: ricerche di taglio biografico sui protagonisti, militare sulle diverse formazioni, anche sociali, ma limitatamente ai temi della socializzazione nell'industria. La terza spiegazione discende da un certo disinteresse degli stessi protagonisti della RSI nei confronti dei problemi dell’agricoltura, se non come emergenza alimentare.
La guerra aveva in sostanza spazzato via il mito del ruralismo degli anni Trenta. La stessa Carta di Verona l’aveva sostanzialmente ignorato affermando solo che «l'esproprio delle terre incolte e delle aziende mal gestite può portare alla lottizzazione tra braccianti da trasformare in agricoltori diretti o alla costituzione di aziende cooperative parasindacali o parastatali, a seconda delle varie esigenze dell'economia agricola». Per cui centrale rimaneva il sistema mezzadrile. In una direzione diversa si muoveva il progetto di costituzione del nuovo stato repubblicano, elaborato dal ministro dell’Educazione nazionale, Biggini, che prevedeva invece l’abolizione del latifondo e la distribuzione delle terre sia in proprietà che in affitto tra le famiglie dei lavoratori della terra. Ma si trattò di un programma destinato a restare chiuso nel cassetto del capo del Governo.
«Non ci fu quindi spazio per sperimentalismi di natura ideologica – scrive ancora Ricci – ma fu comunque un campo di battaglia molto aspro per la confluenza sul settore agricolo di una serie di tensioni e di domande di diversa origine. In primo luogo la domanda crescente da parte del sempre più esigente alleato germanico, poi le esigenze della popolazione, interpretate attraverso i diversi uffici e centri da parte del Governo, infine la pressione, anche questa crescente, da parte delle formazioni partigiane direttamente sui produttori. In mezzo un mondo contadino che, pur nel suo tradizionale frazionamento, nel suo particolarismo, scopriva nel corso dei mesi di una guerra sempre più dura e impietosa, un potere crescente nei confronti della città e del sistema centrale e tendeva quindi ad accentuare la sua tradizionale tendenza all'isolamento e alla non collaborazione».
I molteplici contributi accolti nel volume, nonostante alcuni fuori tema, rilevano la situazione di un’Italia ancora sostanzialmente agricola e le contraddizioni di un’economia agraria tradizionale ma avviata alla trasformazione. I saggi sono firmati da: Annamaria Andreoli, Francesco Bonini, Danilo Breschi, Luigi Ganapini, Giovanni Gregorini, Brunello Mantelli, Simone Misiani, Roberto Parisini, Giuseppe Parlato, Gianfranco Petrillo, Aldo G. Ricci, Mauro Stampacchia, Marco Zaganella. Il volume, come accennato, è curato da Angelo Moioli, ordinario di storia economica e professore di storia dell'economia europea e storia dello sviluppo economico presso l'Università degli studi di Milano, nonché direttore de Centro interuniversitario di ricerca per la storia finanziaria italiana (CIRSFI) e presidente del comitato scientifico del Centro per la cultura d'impresa.
Attilio Mazza