«L'antropologia ha come oggetto l'uomo. Non si rivolge a ciò che è accaduto a singoli uomini o popoli (lascia questo compito alla storia). Cerca i dati che possono aiutare a conoscere i caratteri di un gruppo di uomini, o degli uomini in generale. Gli uomini hanno propri connotati biologici, e hanno proprie culture. Esiste perciò spazio per un'antropologia fisica e per un'antropologia culturale. Nel discorso antropologico, la cultura non è soltanto il patrimonio di conoscenze che ogni individuo possiede, ma è il complesso di valori tradizioni costumi credenze e abiti mentali che connotano ogni data comunità sociale! Fa parte della cultura dell'uomo il diritto, che egli pratica, conosce e dice. Ciò comporta la possibilità di un'antropologia giuridica». Così scrive Rodolfo Sacco docente emerito di Diritto civile, riconosciuto caposcuola del Diritto privato comparato, più volte presidente di associazioni internazionali di diritto e membro dell'Accademia dei Lincei, introducendo il proprio saggio «Antropologia giuridica», edito dal Mulino (352 pagine, € 29,00).
Il diritto, come lo conosciamo nelle società occidentali, è un sistema concettuale di cui il giurista è l'interprete: una funzione che egli svolge concentrandosi sulle forme verbalizzate (leggi, decreti, sentenze, direttive) riconducibili a un potere statuale e politico, capace di garantire il rispetto della norma giuridica. Presso altre culture troviamo invece forme di diritto tradizionale-consuetudinario e fenomeni normativi latenti, posti al di fuori delle istanze statuali, non verbalizzati e non verbalizzabili. Di qui l'interesse per il giurista di adottare uno sguardo antropologico, il solo che può metterlo in condizione di misurarsi con modelli non occidentali, finora esclusi alla sua attenzione.
Rodolfo Sacco, antesignano della comparazione giuridica e da sempre studioso attento alle forme «mute» del diritto, propone in questo volume un connubio, stretto e solido, tra le due discipline, reso oggi indispensabile dalle problematiche sollevate dal multiculturalismo, dalla globalizzazione e dalle spinte alla unificazione internazionale del diritto. La sua esplorazione tocca le norme, la loro legittimazione, la loro collocazione accanto ai fondamentali fenomeni della fedeltà, della subalternazione, del sapere umano, della visione del soprannaturale.
Dobbiamo considerare, annota Rodolfo Sacco, la non universale presenza della categoria occidentale «diritto». Cosa si vuol dunque significare con la parola «diritto» ?
«Innanzi tutto, non si parla di diritto se non implicando come normale una percezione, da parte dei soggetti, di ciò che il diritto dispone (ordina, permette, vieta) in quel caso concreto. A questo titolo non si potrà parlare di un diritto che faccia capo ad un albero o ad un cristallo. Ma non si fraintenda! La percezione di ciò che il diritto ordina o permette nel singolo caso non ha nulla che vedere con una conoscenza astratta e concettuale del contenuto della norma. In secondo luogo, non si parla di diritto là dove i soggetti non scelgono i propri comportamenti. Se i soggetti sono intieramente dominati da istinti più forti di ogni volontà, i loro comportamenti non sono retti dal diritto. Infine, non si parla di diritto là dove la devianza del soggetto dalla regola non implichi reazione alcuna all'interno della comunità. Alla stregua di quanto detto, si può parlare di diritto con riferimento a tutte le società umane, e chi lo voglia (la scelta è soggettiva) può farlo con riguardo a molte società animali evolute. Però non si parla di diritto quando si vede una rondine aver cura dei. suoi nati. La rondine è dominata da un istinto cui non può resistere: manca il diritto perché manca la scelta comportamentale e manca la possibilità di una devianza».
Attilio Mazza