«Con ogni probabilità, se venisse indetto un referendum per designare il poeta più significativo del secondo Novecento, il prescelto risulterebbe Paul Celano. Nato nel
1920 in
Bucovina, una regione un tempo rumena, ora ucraina; e suicida a Parigi nelle acque della Senna, in un giorno “crudele” d'aprile del 1970, Celan trasformò il suo cognome originario di Antschel per opporsi e sottrarsi fin dall'esponente onomastico della sua persona alla persecuzione nazista subìta da lui e dalla sua famiglia, in quanto ebrei. Eppure, per un altro paradosso dall'esito mortale, egli avrebbe anche continuato ad avvalorare il tedesco dei persecutori come unica lingua possibile della sua poesia: lingua materna e omicida assieme, per una parola oscura e tagliente, essenziale e necessaria in ogni sillaba, oltre che piegata a un fine conoscitivo e a un dialogo stringente e implacato con il pensiero del filosofo Martin Heidegger, a sua volta compromesso politicamente con il nazismo».
Così scrive Alberto Bertoni, docente di Letteratura italiana contemporanea nell'Università di Bologna, nel suo ultimo lavoro, “La poesia”, edito dal Mulino. Egli afferma che entro un secolo «che come nessun altro (a parte il Seicento barocco) ha promosso una riflessione critica e teorica intrinseca all'opera, fino al punto che in decenni come i Sessanta e i Settanta sembrava detenere dignità compositiva soltanto una metapoesia (vale a dire una poesia che espone, dichiara e discute dall'interno del suo farsi il proprio stesso statuto di liceità e di comunicabilità), un foglio sparso ed extravagante come quello di Celan (composto nel 1967, durante un ricovero in una clinica psichiatrica nei dintorni di Parigi) dice tuttavia come nessun altro l'essenza stessa della poesia, se mai sia possibile isolare una proprietà ontologica di un fenomeno invece tutto umano e linguistico, artigianale e storico!».
Il rapporto tra chi legge e chi scrive poesia, oggi in Italia, è circa di uno a mille. Naturalmente non è possibile insegnare a diventare poeti. Tuttavia, questo libro intende dimostrare – con esempi tratti dagli autori più grandi della tradizione occidentale, da Dante a Leopardi, da Petrarca a Ungaretti, da Baudelaire a Pessoa, da Celan a Brodskij – che un'autentica, possibile e anzi auspicabile educazione alla poesia può darsi solo se, dai primi tentativi di creazione in proprio, si impara a muovere verso l'acquisizione di una capacità vera di lettura del testo poetico. E leggere la poesia, per poi magari prendere a scriverla in prima persona secondo la competenza nel frattempo acquisita, equivale a possedere tutte le tecniche che innervano il suo «fare», le necessarie nozioni storiche, ma anche una rinnovata disponibilità all'ascolto. Accogliere in sé la voce dell'altro, infatti, non è un esercizio meramente estetico, ma – più propriamente – etico: di questo è da sempre capace la parola poetica.
Bertoni, è anche autore di alcuni libri di poesia e ha pubblicato col Mulino numerose opere critiche sulla letteratura del Novecento, fra le quali «Dai simbolisti al Novecento. Le origini del verso libero italiano» (1995) e ha curato i «Taccuini 1915-1921» di Filippo Tommaso Marinetti (1987).
Attilio Mazza