ARTE - A cura di Rosa Roselli
Tutti i diritti riservati
A cura di Rosa Roselli

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VINCENZO GEMITO




(Napoli, Museo Pignatelli)


Gemito era povero, nato dal popolo; e all’implacabile fame dei suoi occhi veggenti, aperti sulle forme, si aggiungeva talora la fame bruta che torce le viscere. Ma egli, come un Elleno, poteva nutrirsi con tre olive e un sorso d’acqua” (G. d’Annunzio)



V. Gemito, Autoritratto, 1915


Nel Luglio del 1852, a Napoli, sulla ruota di un convento di suore viene deposto un bambino con l’orecchio destro bucato. Adottato da una famiglia di popolani, Vincenzo conosce dapprima la strada e come amico, poi, il coetaneo Antonio Mancini. Il padre adottivo, Mastro Ciccio, un falegname, lo avvia ben presto alla sua attività, ma il ragazzo, soprannominato “lo zingaro” per via dell’orecchio bucato, mostra propensione per il disegno. Frequenta così la bottega di Caggiano, uno scultore di gusto tradizionale. Vincenzo disegna i gessi del Maestro ed esegue ritratti. D’istinto antiaccademico, Gemito lascia il Caggiano e con l’amico Mancini tenta la strada del verismo. Ha sedici anni quando realizza la sua prima opera importante: “Il giocatore”(1868) e diciotto quando la madre lo iscrive al “Real Istituto d’Arte”. Vincenzo passa le sue giornate nei musei, affascinato in particolare dall’arte ellenistica e realizza, unendo classicità e verismo, testine di scugnizzi, fiocinieri, narcisi,moretti, ragazze, acquaioli rivelandosi grande innovatore.



V. Gemito, La zingara, 1885


Tra il 1872-73 esegue una serie di ritratti e, benché di minor vivacità, sa cogliere il carattere del personaggio: da Morelli a G. Verdi (il ritratto è oggi a Milano, Casa dei Musicisti), a Mariano Fortuny, a Michetti. Il ritratto di Michetti viene esposto al Salon di Parigi del 1876, l’anno successivo toccherà al “Pescatorello” con il quale Gemito ottiene tal successo che decide di fermarsi nella capitale europea per lavorare per l’Esposizione universale. A Parigi Gemito porta la tecnica della fusione a cera persa; ritrae alcuni personaggi famosi come Meissonnier e Boldini che lo introduce nell’alta borghesia parigina  per cui lavora. Intanto Gemito studia i movimenti delle ballerine di Degas e i modelli di Rodin per l’aspetto classico. In seguito ad una malattia venerea, Gemito sviluppa forme di ossessiva follia. Dal 1886 l’artista è ricoverato in manicomio e dal maggio del 1888 l’artista si rinchiude per circa vent’anni in casa. “Mangia poco, dorme sul pavimento, alterna fasi di ira e di follia a stati profondamente abulici” (Pagano). Così lo trova D’Annunzio quando si reca in visita da lui. Tuttavia, dopo il 1910, Gemito riprende a lavorare e questa fase di rinascita coincide con una notevole attività grafica, mostrandosi anche qui innovatore perché l’artista usa la fotografia per i ritratti. E’ affascinato da Marinetti e aderisce al Futurismo, ma sul piano artistico il suo lavoro è come prima. Solo più avanti Gemito lascia la poetica realistica per una ricerca che rimanda a certi manierismi alessandrini. Suoi ammiratori sono stati Giacomo Manzù e Giorgio de Chirico, che scriverà: “Ci vorrebbe un museo speciale per tali artisti”.


La mostra è visitabile fino al 5 Luglio 2009.


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