A cura di Rosa Roselli

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KITAJ 



Kitaj, Vivere in pace, 1973 – 1974


Ronald Brooks (Chagrin Falls, Ohio, 1932), nato da madre ebrea e padre cristiano, ha in seguito adottato il cognome del secondo marito della madre, Kitaj, che era ebreo. Dopo aver compiuto gli studi, si reca a New York quando era imperante l’espressionismo astratto, a lui poco congeniale.

La sua produzione pittorica è considerata l’aspetto più colto della cultura pop inglese (da tempo vive in Inghilterra). Nella sua formazione artistica Kitaj è stato influenzato da vari movimenti artistici come il Dadaismo, il Surrealismo e il Simbolismo. Lo stesso Kitaj si definisce   postimpressionista, perché nella sua crescita artistica è, ad un certo punto, come tornato indietro e, negli Anni Settanta, a Parigi, Kitaj ha riscoperto Degas, la sua origine ebraica e la diaspora. La conseguenza è stata la stesura del “The First Diasporist Manifesto”, in cui afferma che ad un artista è necessario sentirsi in condizione di diaspora, ossia in disaccordo con le leggi che regolano la propria società.

I lavori di Kitaj si contraddistinguono per la vena narrativa ironica e certi spunti sono tratti dal fumetto e dalle immagini della pubblicità. Kitaj è un pittore colto per cui, talvolta, il suo discorso si appesantisce, ma subito ritrova l’aspetto gioioso del narrare, il gusto del colore e la capacità di cucire tra loro gli episodi, riducendoli così ad unità.


Kitaj, La scuola ebraica, 1980

I critici si sono espressi non sempre omogeneamente su questo artista: c’è chi lo considera un illustratore capace, ma non in grado di commuovere lo spettatore, per cui la sua arte viene definita “ovvia”. Altri gli rimproverano di voler essere scrittore, esegeta e critico, rivelando così poca fiducia nei mezzi espressivi della pittura; infine c’è chi ne apprezza l’onestà perché l’artista ritiene importante quello che fa.

Kitaj dichiara che gli piace creare un personaggio e riproporlo in un quadro diverso, perché il personaggio deve avere una memoria sociale, così come ama i quadri incompiuti in quanto “non vedo nessuna ragione perché si debbano fare i quadri. Perché bisogna terminare qualcosa? Ogni quadro ha un futuro”. Kitaj sostiene che i quadri incompiuti sono “la meraviglia di Picasso e di Matisse”.



Kitaj, Il miliardario, 1992 - 1993


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